L’uomo, attraverso il lavoro, “mentre modifica la natura, modifica anche se stesso” (Fromm)
La valutazione psicologica di manager e dirigenti inserita in un percorso Assessment Center consente la conoscenza approfondita della persona da cui poi scaturisce accanto alla valutazione di adeguatezza al ruolo ricoperto, o alla valutazione del potenziale rispetto a ruoli organizzativi caratterizzati da maggiore complessità gestionale, anche la valutazione in termini nuclei narcisistici di personalità e la valutazione dei principali meccanismi di difesa che strutturano il carattere del manager. “Se mancasse questa valutazione approfondita utilizzabile dall’impresa si cadrebbe nell’inevitabile superficialità” (Castiello d’Antonio, 2013) della valutazione definita solo in termini di di adeguatezza a ricoprire la posizione organizzativa basata sulla valutazione dei comportamenti attesi, ma priva di informazioni circa il profilo psicologico della persona. La mancanza di queste informazioni è molto rischiosa se si tratta di posizioni organizzative manageriali dalle quali dipende buona parte dell’engagement dei collaboratori, del benessere organizzativo e della capacità da parte dell’organizzazione di innovare e adattarsi ai cambiamenti organizzativi necessari per restare sul mercato.
La valutazione psicologica del manager è utile perché fornisce indicazioni predittive circa la capacità della manager di fronteggiare future situazioni o periodi lavorativi difficili, obiettivi sfidanti e responsabilità sempre più ampie mantenendo inalterata la capacità di concentrazione sugli obiettivi, la chiarezza percettiva verso il mondo circostante, la disponibilità al confronto e alla valorizzazione del contributo degli altri, la capacità decisionale in contesti con un alto contenuto di informazioni e di rischio, la disponibilità ad apprendere dai propri errori. L’equilibrio psicologico resta fondamentale per garantire alla persona la capacità di trascendere la realtà, cioè “vedere oltre” restando quindi curioso e positivamente orientato verso le persone che deve guidare nel futuro lavorativo.
“Anche se può apparire inusuale fare riferimento alla clinica e alla psicopatologia in merito alla valutazione di manager e di leader, si deve ricordare che nel mondo del lavoro esiste, ed è ben presente, ogni forma di “sanità” e di “malattia”: non a caso oggi si lavora sui concetti (e sulla realtà) della leadership distruttiva, della patologia manageriale, delle malattie del potere, e dei deragliamenti delle condotte di guida e di direzione che, spesso, hanno condotto le organizzazioni al disastro. Senza dire delle deformazioni in merito all’etica professionale e all’etica degli affari” (Castiello d’Antonio, 2014).
In effetti è facile trovare gruppi di lavoro, consigli di amministrazione, ambienti associativi dove si creano fazioni, cordate, sotterfugi e pettegolezzi finalizzati a screditare l’immagine dell’altro e raggiungere il successo a scapito delle professionalità altrui. Situazioni e dinamiche distruttive che come effetto incidono negativamente sull’engagement dei collaboratori, sulla proposizione e gestione dei cambiamenti e certamente sulla produttività in senso stretto dell’organizzazione di cui fanno parte.
Lo scopo della valutazione psicologica delle qualità manageriali dunque è quello di individuare un soggetto “sufficientemente sano e buono” al momento della valutazione stessa. Un soggetto con un buon equilibrio psicologico manifesta la “capacità di vivere interiormente, percepire ed esprimere le emozioni, proprie e altrui, comprendere ed elaborare le emozioni a livello di pensiero, rispondendo loro in modo altrettanto affettivo, anche al fine di comprendere origini, dinamiche, manifestazioni, esiti e finalità eventuali. A ciò va connessa la capacità di autoregolazione emotiva, soprattutto nelle risposte overt[1], ma anche nell’elaborazione automatica interna (capacità di disapprendere e riapprendere i propri stili e schemi di reazione a venti esterni e/o interni). Dunque il mondo delle emozioni, dei sentimenti e degli affetti (Castiello d’Antonio, 2013).
Quali sono le caratteristiche che si riconoscono in coloro che hanno un buon equilibrio psicologico:
- capacità di accogliere se stessi e i propri limiti invece che cadere nella rassegnazione o nella negazione degli stessi scaricando sugli altri le responsabilità;
- uscire dal narcisismo e comprendere che nella relazione con il mondo ci sono gli altri con il loro bisogni e le loro esigenze, anziché agire tentando di mistificare la realtà;
- uscire dallo schema di auto biasimo e auto compiangimento: capacità di mettersi in discussione senza mortificarsi;
- cogliere gli schemi o i copioni che si ripetono nella vita e che generano angoscia o malessere: imparare le lezioni anziché colpevolizzare gli altri; riconoscere le proprie “passioni”, emozioni come orgoglio, vanità, invidia, paura, ira, ecc. che avvelenano la visione del mondo se sono vissute senza elaborazione e integrazione nella vita di ogni giorno, anziché proiettare sugli altri.
L’elaborazione psicoaffettiva di questi punti amplia il grado di benessere personale e soprattutto aumenta la capacità di rendere produttive le relazioni con gli altri, consente di liberare le energie creative che possono essere poi canalizzate nel lavoro.
Gli executive manager dotati di un buon equilibrio psicologico entrano nella mente e nel cuore dei loro collaboratori. Molti di questi manager restano nei ricordi affettivi anche quando sono andati via e lasciano un’impronta nella memoria affettiva degli ex collaboratori tale da essere fonte di ispirazione per la loro leadership per sempre.
La valutazione psicologica consente di predire la disponibilità a:
- imparare a non dipendere affettivamente dall’approvazione degli altri, ma conquistare l’approvazione in modo interdipendente dall’ambiente, saper dunque apprezzare e approvare per primo gli altri, ma in modo incondizionato “senza nulla a pretendere”;
- imparare a non dipendere affettivamente dal successo, ma conquistarlo ma sapendo sopportare frustrazione e dolore nei momenti di insucesso, indirizzando rabbia e desiderio verso nuove conquiste;
- imparare a lasciare andare ciò che non serve, lasciare andare persone o situazioni, desideri o principi che non fanno più parte della propria vita. L’attaccamento rigido alle idee come alle persone o alle cose irrigidisce la visione della realtà. Imparare a danzare con gli eventi che non si possono cambiare, comprendere che opporsi non ha senso e imparare a fare qualcosa con ciò che accade.
- Apprendere ad osservare e non a giudicare (interpretare) ciò che accade dentro e fuori di se. Il cambiamento di se stessi e della situazioni in cui ci si trova parte dalla capacità di sospendere il giudizio, osservare quello che c’è ed aprirsi al cambiamento.
- Imparare a vivere e a condividere sentimenti di gratitudine per ciò che c’è di buono. Ringraziare non come atto dovuto, ma sentimento di gratitudine verso se stessi e gli altri per gli sforzi profusi, per lo sguardo ricevuto, per la condivisione di un’idea. La gratitudine chiama compassione, benevolenza e perdono. Emozioni che curano e disintossicano la vita affettiva. Emozioni che liberano dalla schiavitù delle passioni, cioè quelle emozioni tossiche che avvelenano la qualità della vita.
- Apprendere l’arte di manutenere il proprio benessere psicologico attraverso la riflessione acritica su se stessi e sugli altri, mettendosi in discussione i prima persona.
La valutazione psicologica delle qualità manageriali permette ad esempio di individuare la presenza di nuclei narcisistici della personalità o meccanismi di difesa psicologici disfunzionali, che potrebbero “irrigidire” il modo di pensare e di agire di un soggetto. Un certo grado di “narcisismo” è utile al buon funzionamento della persona ed è alla base di una buona capacità di adattamento alla realtà circostante. La presenza di una dimensione narcisistica della personalità oltre la soglia di adattabilità rende il soggetto poco capace di entrare in relazione empatica con il mondo circostante visto che la sua attenzione è rivolta verso se stesso e i suoi bisogni, il suo obiettivo principale nello svolgimento dei suoi compiti e delle sue relazioni è mantenere positiva e vincente l’ immagine di se stesso rispetto al resto del mondo altri. Il suo bisogno è sentirsi unico e speciale. Personalità caratterizzate da meccanismi di difesa psicologici eccessivamente rigidi e strutturati condizionano in maniera disfunzionale la capacità di affrontare in modo creativo e costruttivo la realtà complessa mantenendo alta la propria e altrui qualità di vita professionale.
“…Sono presenti negli ambienti organizzativi soggetti che presentano varie forme di disadattamento dovute alle malattie esistenziali moderne, socialmente accettate e addirittura valorizzate, ma che inducono disadattamento sociale nel gruppo di lavoro. Le malattie esistenziali quindi le troviamo nell’aderenza a prototipi sociali di successo, workaholism, assuntori del ruolo (svolgo il mio compito e occupo la mia posizione)” (Castiello d’Antonio, 2013).
Il manager dai tratti narcisistici è sempre in cerca di situazioni competitive che deve vincere, è stimolato da e rincorre ogni occasione di crescita gerarchica nell’azienda che lo ospita. La credenza “devo essere migliore degli altri” è necessaria per dimostrare il suo essere speciale. Il soggetto narcisista sente la spinta ad accrescere il proprio status. Questo bisogno a volte si traduce in atteggiamenti che vanno oltre i limiti della correttezza verso gli altri, della lealtà e della trasparenza verso il gruppo. Il manager che non elabora i suoi nuclei narcisistici e i suoi meccanismi di difesa psicologici (su cui ha strutturato il suo carattere) fa fatica a confrontarsi con colleghi e collaboratori, evita di dare e ricevere feedback, non ha capacità di ascolto. troppo preso dall’obiettivo da raggiungere non allena nessuna forma di empatia e condivisione. Strumentalizza i collaboratori attraverso la distribuzioni di informazioni parziali, trattenendo per sé quelle utili a mantenere il controllo esclusivo sulle persone e sulla realtà. In genere questo tipo di manager non delega se non attività o compiti. Inoltre laddove dovesse essere costretto a delegare da aspettative di ruolo organizzativo attiva deleghe parziali cioè attribuisce responsabilità, ma non mette le persone nelle condizioni di agire. Attiva e toglie la comunicazione interpersonale per lanciare messaggi di apprezzamento e svalutazione della persona, ad esempio non si fa trovare, rimanda le riunioni o richieste di incontro, durante le riunioni risponde al alcuni e non ad altri. Obiettivo è continuare a mantenere un’immagine di sè speciale, indispensabile a qualunque costo e a qualunque prezzo.
Il Manager con tratti narcisistici spesso crede che gli altri siano gelosi o invidiosi, traduce i contributi degli altri colleghi o collaboratori come attacchi al suo potere. Si difende confondendo informazioni, a volte mente spudoratamente.
I manager con una buona dose di narcisismo sono incapaci di gestire situazioni seppur temporanee di insuccesso o fallimento per cui trovano sempre su chi scaricare, anche sui loro collaboratori. Non sopportano le critiche negative degli altri nei loro confronti, per cui formalmente dichiarano apertura, ma nella realtà dei fatti “estromettono queste persone dal loro giro”. Se le critiche sono inevitabili possono scatenare scatti d’ira improvvisi, comportamenti scorretti e sleali. Spesso il loro modo di esprimersi è dogmatico e generalizzante. la capacità di contemplare punti di vista diversi dai propri è praticamente nulla, per cui tradiscono un approccio alla realtà di tipo ideologico.
Tendono a mistificare la realtà quando questa non va secondo i propri confini anche in barba alle evidenze. Tendono a personalizzare le obiezioni perché sono sicuri che dietro una critica ci sia il disconoscimento della propria persona o del suo ruolo ricoperto. Sono sospettosi circa le buone intenzioni degli altri e cercano alleati, rigorosamente aderenti al loro progetto, con cui fare la guerra contro gli altri. Tendono a valorizzare solo persone che tornano utili al loro progetto. Quindi questi manager sono molto presenti nella relazione con i loro responsabili o figure istituzionali di riferimento sono poco presenti nella relazione con i loro collaboratori, tendono ad adulare i collaboratori di cui hanno bisogno, svalutano gli altri e tendono a mettere competizione tra le persone. Si circondano di colleghi e collaboratori di basso profilo in modo da prevenire eventuali disaccordi o valutazioni. Questo manager tendono non assumersi responsabilità in caso di conseguenze negative delle loro scelte, creando legami solitamente basati sulla colpevolizzazione dell’altro.
Il manager che presenta tratti narcisistici di personalità ha un ‘ottima capacità di influenza, è capace di affabulare con le sue parole, spesso dotato vision grandiose accogliendo così approvazioni entusiasmo e consensi delle figure istituzionali più in vista, peccato che poi nella realizzazione pragmatica essi siano assenti o deficitari, le difficoltà operative li mandano in crisi, ma non riescono a delegare per paura di perdere la posizione di potere sulle attività, in conclusione non se ne fa nulla e se qualcosa si fa è grazie al lavoro certosino di qualche collaboratore che opera nell’ombra. In caso di successo ovviamente non attribuiscono valore al lavoro degli altri.
Questa tipologia di manager fanno fatica a circondarsi di veri talenti e di consulenti competenti anche più di lui, ma preferiscono circondarsi di collaboratori-segretari disposti a seguire le disposizioni( a volte confuse e mal erogate) al fine di restare l’ unico sole che brilla. Laddove ci sono collaboratori di sesso opposto si tenderà a tenere più vicini i collaboratori avvenenti, ma non con spirito di iniziativa. In tali circostanza i collaboratori più talentuosi sono ridimensionati e a questo punto sono gli stessi collaboratori che se ne vanno.
In realtà potremmo dire che questi disturbi sono “socio-sintonici” : la cultura industriale capitalistica spesso premia persone estremamente ambiziose e legate al bisogno di potere. Per difficilmente l’organizzazione si rende conto di avere a che fare con un manager con tratti narcisistici di personalità. Non si spiegherebbe la presenza di manager dalle scarse qualità manageriali (e in casi estremi anche morali) che scalano la gerarchia di società attraverso strategie basate sulla mistificazione e scorrettezza professionale al punto che restano invisi al loro gruppo di lavoro. In effetti i canoni con cui la società capitalistica (dalla cultura organizzativa piegata all’idolatria del successo personale, del dio denaro e dei risultati/profitto da perseguire, dello status sociale) riconosce e apprezza i manager sono proprio la forte ambizione confusa con la scorrettezza e il clientelarismo, la capacità di leadership confusa con la manipolazione degli altri, la manifestazione dei simboli di potere come il possesso di denaro confuso con professioalità, oggetti costosi messi in evidenza intorno a se confusi con stile manageriale, la esaltazione delle proprie posizioni gerarchiche di potere confuse con competenza manageriale.
Nel mondo del lavoro è facile dunque confondere tratti narcisistici e meccanismi di difesa disfunzionali con una sana dose di ambizione personale, determinazione professionale e spinta all’autorealizzazione.
La capacità di influenza e di leadership che distinguono i manager di successo necessitano di un buon livello di fiducia in se stessi, amore per se stessi e una buona immagine di sé. La valutazione psicologica serve dunque a distinguere il grado di pregnanza del nucleo narcisistico e il grado di strutturazione dei meccanismi di difesa presenti nel manager al di là di una certa soglia di adattabilità. Gli elementi che permettono di distinguere la valutazione dell’effettivo potenziale del manager dalla presenza di tratti narcisistici è data dal grado di empatia e di intelligenza emotiva in uso nella persona. La capacità di sentire e gestire le proprie e altrui emozioni, soprattutto quelle più difficili come la paura, la vergogna, la tristezza, l’invidia, la compassione e la gratitudine è fondamentale per attivare processi di elaborazione psicologica del proprio modo di essere nel mondo. La capacità di gestire queste emozioni umanizza i manager i quali entrano in contatto con il loro bisogno di sentirsi parte di un team, rinforzano la capacità di condividere il successo. Sono in grado di dare visibilità al gruppo o al collaboratore talentuoso oltre che a se stessi. La necessità di rendersi interessanti agli occhi dei propri colleghi o responsabili è importante se compensata dalla capacità di sopportare le critiche degli altri. La tendenza a descrivere se stessi in base alle categorie ritenute socialmente e professionalmente vincenti è funzionale per ottenere consenso se questa tendenza è integrata dalla consapevolezza intima e sentita dei propri limiti e difetti. La capacità di assumersi la responsabilità delle proprie scelte e la capacità di recuperare dopo un fallimento, la capacità di sentirsi in grado di affrontare una nuova sfida, così come la disponibilità a prendersi la responsabilità sono elementi che indicano la presenza di buon potenziale per lo sviluppo manageriale delle persone.
E importante valutare la capacità di sopportare la tristezza che deriva dalla perdita di qualcosa a cui si tiene, o dalla necessità di abbandonare uno status quo per affrontare un cambiamento. E’ importante valutare quanto l’approccio al mondo del manager è guidato da una buona dose di fiducia interpersonale.
Lavorare accanto ad un manager con importanti nuclei narcisistici o con un carattere irrigidito da meccanismi di difesa disfunzionali può essere molto faticoso. Essi tendono a fare “uso” dell’altro come funzione che alimenti il proprio bisogno di riconoscimento, prestano poca o nessuna attenzione reale ai bisogni che di contro ha anche l’altra persona. In realtà, questa totale attenzione su di sé e il senso di importanza e superiorità non riflette una autostima incrollabile come si potrebbe pensare.
Chi presenta nuclei narcisistici non elaborati nasconde dietro il “falso sé grandioso” – solitamente costruito ad hoc per difesa – un “vero sé” fragile e incredibilmente bisognoso di attenzione e riconoscimento. Ciò spiega come mai queste persone sono sensibilissime alle critiche e vi reagiscono con forte aggressività (attaccando ferocemente l’altro oppure reagendo con lunghissimi silenzi); inoltre provano facilmente un senso di umiliazione e grande vergogna quando ciò accade.
In realtà questi approcci disfunzionali sono “egosintonici” per cui il soggetto difficilmente si rende conto di avere un problema e considera i suoi sintomi come tratti peculiari della propria personalità. Inoltre chi vive il disturbo narcisistico di personalità adotta strategie alloplastiche cioè tende a cambiare l’ambiente, mai se stesso, per cui non trova utile mettersi in discussione.
In genere, quando si assume una persona per un incarico manageriale non si effettua un’indagine psicologica. Né sono inseriti nelle sessioni di Assessment per la valutazione delle capacità manageriale strumenti che rilevino anche il profilo psicologico nei manager presenti in azienda.
Vi sono alcuni lavori particolari che, per le responsabilità che comportano, richiedono standard elevati di salute fisica e mentale. È questo, per esempio, il caso dei piloti arei, personale militare e personale impiegato nelle forze dell’ordine. In questi contesti intanto si vuole evitare che entrino persona con disturbi della personalità descritti dai manuali di psicodiagnostica, ma anche la presenza di nuclei narcisistici di personalità incidono negativamente sull’efficacia delle dei manager.
Le organizzazioni sono inoltre dotati di strumenti di gestione del personale che rilevano sintomi di inefficienza produttiva e malessere organizzativo derivanti dalla presenza di manager narcisisti. In realtà la valutazione psicologica inserita nel percorso di AC è fondamentale per dare a questi manager un’opportunità per guardare dentro se stessi attraverso opportuni strumenti di intervento psicologico. Si tratta di manager che pur conseguendo forme di successo e di potere importanti in realtà conducono una vita emotiva triste, sono intrappolati in pensieri negativi ed emozioni distruttive. Mettersi in gioco farebbe bene al loro gruppo di lavoro, all’azienda in termini di maggiore efficacia nei processi e soprattutto farebbe bene a loro stessi.
[1] Wink, P ha identificato due fattori, definiti narcisimo overt enarcisismo covert. Il narcisista overt mostra dirette espressioni di sopravvalutazione, auto-importanza; il narcisista covert, invece, sembra essere ipersensibile, ansioso, timido e insicuro, ma il suo scopo è ottenere attenzione