“Follia è fare sempre la stessa cosa aspettando risultati diversi” Einstein
Innovazione e cambiamento sono le parole più pronunciate nella vita lavorativa soprattutto da quando nel mondo occidentale è scoppiata la grande crisi.
In azienda i responsabili chiedono ai loro collaboratori di essere innovativi. I discorsi motivanti di fine anno hanno come obiettivo quello di stimolare le persone che lavorano in azienda a superare i momenti di crisi grazie alla capacità di innovare.
La stessa parola crisi deriva da un ideogramma cinese che esprime il significato di “momento cruciale” ossia quando comincia o cambia qualcosa.
La teoria dell’innovazione elaborata da Joseph A. Schumpeter si configura nella storia del pensiero economico come la prima elaborazione teorica di un certo livello e che spiega il fenomeno dello sviluppo economico.
In verità le innovazioni accompagnano l’uomo da sempre, con ritmi diversi …forse. Per raggiungere gli obiettivi l’uomo, da sempre, adatta le sue strategie di comportamento.
Quindi il dilemma non è se innovare o meno, ma se siamo capaci di cogliere i segnali del cambiamento che l’ambiente propone nella quotidianità.
Il processo di innovazione dunque ha una sua spinta autogena, è un fenomeno inevitabile, antropologicamente inevitabile. Quindi le aziende che innovano sono quelle fatte di persone che a qualunque livello di responsabilità vivono e colgono nuovi adattamenti all’ambiente.
La domanda che ci poniamo oggi è: Come si innova? Da dove si comincia per innovare? Cosa mi si chiede di innovare?
Schumpeter dimostra come in condizioni normali, l’economia tende a ruotare attorno ad una sorta di punto di equilibrio walrasiano. Nell’evoluzione dei sistemi economici, però, è possibile notare che in determinati momenti storici accade qualcosa che provoca lo spostamento del succitato punto di equilibrio verso un nuovo punto e diverso dal precedente. Quel qualcosa è ciò che Schumpeter definisce con il termine di sviluppo, ossia “una perturbazione dell’equilibrio che altera e sposta lo stato di equilibrio precedentemente esistente […] mediante l’introduzione di nuove combinazioni [economiche]” (Schumpeter, 1971).
L’innovazione, intesa quindi come l’introduzione di nuove combinazioni economiche all’interno del sistema, può avere luogo in uno dei seguenti casi:
- produzione di un nuovo bene o di una sua nuova qualità;
- introduzione di un nuovo metodo di produzione;
- apertura di un nuovo mercato;
- conquista di una nuova fonte di approvvigionamento di materie prime e di semilavorati;
- riorganizzazione di una qualsiasi industria (come la creazione di un monopolio o la sua distruzione)
Innovare è fondamentale per restare sul mercato. Ricordiamo il caso dell’azienda Reaserch in Motion, azienda canadese che alla fine degli anni 90 sino al 2005 era la società leader mondiale con il suo Blackberry. All’epoca il blackbarry vinse sulla concorrenza perché oltre al compito di telefono cellulare svolgeva alcune funzioni PC e notebook. Inoltre le aziende lo distribuivano presso i collaboratori perché aveva un sistema chiuso di connessione con l’azienda. Ma nel giro di 5 anni la RIM ha perso oltre il 75% della quota di mercato perché il Blackberry è stato soppiantato dalla tecnologia iPhone, smartphone touchscreen e capace di connettersi con più sistemi di comunicazione. Quando anche l’azienda Rim aveva prodotto il suo touchscreen il mercato era già stato scremato e comunque la connessione di BlackBerry era chiusa mentre iPhone e Android si sono dotati di piattaforme dotate di specifici mondi di app.
Un’altra storia di successo riguarda il settore dei videogiochi. La consolle wii della Nintendo ha intaccato la supremazia che aveva la Sony con playstation. Ancora i colleghi della mia età hanno vissuto l’ascesa di Google che ha spazzato via Yahoo. La stessa Microsoft, che controllava il 42 % del mercato dei sistemi operativi per smartphone, ha dovuto assistere impotente agli ingenti profitti, ovviamente a suo danno, che l’iPhone generava. Microsoft era troppo legata alla sua gallina dalle uova d’oro, il sistema Windows, e questo ha bloccato la capacità di innovare per competere con iPod, iPhone e iPad.
In verità le innovazioni accompagnano l’uomo da sempre, con ritmi diversi …forse. Per raggiungere gli obiettivi l’uomo, da sempre, adatta le sue strategie di comportamento.
Quindi il dilemma non è se innovare o meno, ma se siamo capaci di cogliere i segnali del cambiamento che l’ambiente propone nella quotidianità.
Il processo di innovazione dunque ha una sua spinta autogena, è un fenomeno inevitabile, antropologicamente inevitabile. Quindi le aziende che innovano sono quelle fatte di persone che a qualunque livello di responsabilità vivono e colgono nuovi adattamenti all’ambiente.
La domanda che ci poniamo oggi è: Come si innova? Da dove si comincia per innovare? Cosa mi si chiede di innovare?
L’innovazione è ridotta “dall’incapacità di distogliere la concentrazione da ciò che è familiare, all’inizio le persone che guidano il vecchio sistema non si accorgono neppure del cambiamento. Poi quando lo notano pensano che si tratti di un fenomeno di nicchia o di una moda passeggera. Quando alla fine si rendono conto che il mondo è di fatto cambiato, hanno ormai buttato via la maggior parte del tempo che avevo a disposizione per adattarsi” Clay Shirky in Focus, ultimo lavoro di Daniel Goleman.
I macrosistemi rispetto a qualunque sistema mi riferiscono cambiamo se accade qualcosa a livello micro.
La strategie aziendali sono cambiamenti che si vedono a livello di macromanagerialità. Per esempio prima vi ho raccontato dei macrocambiamenti di queste aziende. Ma cosa accade nella gestione del quotidiano? Cosa avviene a livello di micromanagement.
Per innovare occorre andare al di là degli schemi, esplorare oltre il già conosciuto, mettere il naso oltre il proprio giardino.
L’esplorazione un nuovo ambiente, di una nuova possibilità, persino quando immaginiamo un nuovo modo di comportarci (diverso dal solito) attiviamo aree del cervello diverse da quelle che si attivano quando avviamo un processo che Goleman chiama di sfruttamento, cioè di ottimizzazione ed efficientazione di ciò che già conosciamo.
Esplorare significa distaccarsi dall’oggetto su cui siamo concentrati per creare nuove possibilità, lasciando campo libero alla flessibilità, alla scoperta e all’innovazione. Mentre lo Sfruttamento richiede concentrazione su ciò che stiamo facendo in modo da poter migliorare la prestazione e l’efficienza di ciò che già esiste.
Il segreto è mantenere una tensione costruttiva fra queste due tendenze nelle persone che ogni giorno lavorano. Le persone che ogni giorno lavorano necessitano di momenti di “sfruttamento” finalizzati ad efficientare un processo, sistema, ecc. ma anche momenti di esplorazione.
La tendenza ad attivare circuiti cerebrali alla base dello sfruttamento è coltivata nella quotidianità molto più dell’altra. Basta pensare alla concentrazione che si ha rispetto al raggiungimento degli obiettivi, la concentrazione che si attiva per svolgere lavori di qualità, tutte le attività quotidiane di controllo sulla prestazione e performance sono frutto dell’attivazione del circuito cerebrale che abbiamo chiamato sfruttamento. Tale canale è attivato da una leva emotiva che si chiama ansia, ossia paura di sbagliare, paura di non essere all’altezza delle proprie e altrui aspettative, paura di essere rifiutati, paura di non essere adeguati. La paura è una delle emozioni più utili per l’umanità perché ci mette in allerta dai pericoli, ma è una delle emozioni più distruttive perché blocca, paralizza, o confonde la percezione delle cose quando va oltre il livello di consapevolezza della persona.
Il processo esplorativo è poco allenato nella quotidianità. In un’azienda ad alto contenuto di innovazione tecnologica un collaboratore ci confidò durante un intervento formativo sul problem solving creativo che il maggior numero di idee che era riuscito a brevettare era accaduto negli anni in cui viaggiava in treno per andare a lavoro. Il treno ero comodo perché poteva sedersi e durante il viaggio leggeva articoli nuovi su diavolerie tecniche di cui lui e i suoi colleghi erano esperti, a volte sonnecchiava, a volte pensava ad occhi aperti e tac ecco l’idea su cosa e come avrebbe potuto progettare degli oggetti o delle funzioni.
Per esplorare ciò che è nuovo occorre attivare quella parte di aree cerebrali responsabile della visione allargata delle cose, quella visione che perde dettagli, perde la dimensione del tempo, è destrutturata. La leva emotiva alla base del processo esplorativo è la passione, la curiosità. Queste emozioni fanno diventare le persone “coraggiose” cioè persone di fare le cose con paura.
Di cosa abbiamo bisogno per sbilanciarci verso nuove terre?
- Fiducia in se stessi e questa fiducia non può prescindere da un ambiente di lavoro che sa valorizzare i tuoi punti di forza;
- Fiducia interpersonale ossia la disponibilità a sentire che le persone intorno mi arricchiscono in qualcosa.
- Consapevolezza di sé e dei propri punti di debolezza ed elaborazione esperienziale delle paure ad essi collegate.
- Clima organizzativo e di gruppo positivo: un ambiente sociale teso produce l’ormone della paura che aumenta il livello di attenzione selettiva, cioè quel tipo di attenzione focalizzata sull’obiettivo che non lascia spazio all’esplorazione.
- Coerenza tra ciò che si fa, il proprio lavoro e le proprie aspirazioni professionali o vison lavorative.
- Avere dei team leader che chiedono innovazione, ma che sono i primi a farlo. I capi che innovano senza volerlo trasferiscono questa capacità.
- Vivere legami interpersonali costruttivi e creativi con i colleghi, clienti, collaboratori, fornitori. Nelle relazioni positive passano idee e informazioni in gran quantità e di qualità buona perchè si ha meno paura di fare “brutte figure”.
- Cambiamento culturale: valorizzare lo spazio temporale in cui le mente è libera di “vagare”. Rivalutare l’ozio come otium nel mondo greco. Se sto oziando non è vero che non faccio nulla, magari sto lavorando con l’emisfero creativo. Per aumentare l’otium è importante tutelare la qualità della vita casa lavoro e anche la qualità della vita a casa e anche la qualità della vita a lavoro. E’ di questi giorni la notizia che Google è per il terzo anno consecutivo la prima azienda mondiale nella classifica The Great Place to Work.
- Ascoltare, dare valore alle idee spontanee quelle che sgorgano dentro ciascuno di noi, e che spesso non trovano neanche il tempo di giungere a livello di consapevolezza sono cestinate come “impossibili, improbabili o troppo bizzarre o non fanno al caso mio”
In conclusione se qualcuno mi chiede di innovare da dove comincio?
Dalla calma…. Dalla possibilità di acquisire informazioni sparpagliate nel mondo rispetto al tipo di lavoro/progetto di cui mi occupo …. Dalla possibilità che mi do di dire le mie idee anche correndo il rischio che non siano apprezzate …. Dal condividere con i colleghi tutto quello che ritengo possa essere utile per darmi stimoli … faccio lo sforzo di capire se svolgo un lavoro o seguo un progetto allineato con i miei valori e le mie passioni professionali, mi immedesimo nelle esigenze di chi potrebbe usufruire del mio prodotto/progetto …. Mi diverto immaginando oltre …. Senza bloccare il pensiero ….
Questa è la fase esplorativa una fase che parte da lontano …
Poi, partorita l’idea nuova (per esempio una nuova scheda tecnica per la raccolta dei requisiti del cliente, un sistema di raccolta dati che facilita un qualcosa, ecc) provo a buttar giù un piano di realizzazione, un prototipo del mio modello…. Qualcosa insomma che renda l’idea concreta, reale, condivisibile in termini di tempo e spazio…
Questa è la fase di sfruttamento cioè di concentrazione e di affinamento del progetto. In questa fase prevale la concentrazione sul dettaglio, la visione ravvicinata e focalizzata sul lavoro.