La Compassione

Molto spesso siamo portati ad avere compassione verso gli altri ed essere invece molto critici e severi verso noi stessi.

Compassione (dal lat. compăti, comp. di cŭm ‘con’ e păti ‘patire’) patire con, comunanza di dolore e prendere parte a sentimenti altrui. Diversamente dal concetto di pietà, che a volte può racchiudere un’accezione di spregio o un sentimento di superiorità, contempla un più ampio respiro.

La compassione ha bisogno di sospensione del giudizio severo e critico verso se stessi e gli altri per sentire e accogliere quello che c’è. Il giudizio impedisce di vedere la situazione nella sua totalità, di vedere la condizione di fragilità umana.
Iniziamo accogliendo e prendendoci cura di noi stessi e delle nostre vulnerabilità, condizione necessaria di relazione con gli altri come sottolinea il pensiero filosofico buddhista, anche perché potrebbe essere difficile poter offrire aiuto ad un’altra persona.

Nella self-compassion, sentimento antitetico all’autocommiserazione, è basilare riconoscere la responsabilità dei propri sbagli, rimorsi e fallimenti, servendosi di un ponte per passare dal giudizio all’osservazione e toccare la sofferenza dentro di noi.

Nel suo libro sulla self-compassion, la ricercatrice americana Neff che da tempo si occupa di questa tematica, descrive questa area di applicazione della consapevolezza come la risultante di tre abilità di base, di seguito citate:

  1. la capacità di trattarsi con gentilezza, comprensione e perdono, piuttosto che con severa auto-critica;
  2. la capacità di vedere le proprie esperienze negative e i propri difetti come aspetti condivisi dell’esperienza umana, piuttosto che come elementi “anormali”, di separazione ed isolamento dagli altri;
  3. la capacità di affrontare e contenere le proprie emozioni e pensieri dolorosi con consapevolezza, piuttosto che con iper-coinvolgimento ed identificazione con esse.

Il criterio della metodologia è quello della Terapia Focalizzata sulla Compassione (TFC).
“Il potere dell’essere gentili con sè stessi” ci aiuta a ricominciare laddove c’è stato fallimento o semplicemente errore.
Rinunciare un poco alla volta alla tendenza di giudicare e giudicarci, al fine di mitigare emozioni, mente e spirito.

Perché quando si tratta di noi stessi, lo imbavagliamo senza dare spazio all’autocomprensione?

Perché attraverso il rimprovero pensiamo di stimolarci a migliorare sempre di più, perché un tempo essere stati severi con noi stessi ci ha permesso di raggiungere obiettivi importanti per la vita, ma ad un certo punto questo approccio mostra tutti i suoi limiti.

Bisogna saper lasciare andare l’accanimento di rumori mentali che rischiano di creare un caos interno.
Di fondo è necessario calmare e gestire il dolore causato da queste emozioni.

 

Psicoterapia del Benessere

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