La doppia freccia. Imparare dell’esperienza

Siamo passivi quando diamo il permesso agli altri di imporci il loro significato all’esperienza vissuta. Siamo aggressivi quando noi imponiamo agli altri il nostro significato circa gli eventi della vita condivisi. Siamo determinati quando scegliamo il significato degli eventi della vita per noi stessi. 

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In azienda è fondamentale approfittare di errori tecnici o gestionali per innovare e crescere professionalmente. I manager che riescono a stimolare l’apprendimento dagli errori nei gruppi di lavoro, registrano performance quantitative e qualitative più elevate.

Nella vita privata è fondamentale imparare dall’esperienza per evitare alcuni automatismi che inesorabilmente ci portano a rivivere situazioni di vita con una trama simile, spesso dolorosa e deludente

Una persona che vive atteggiamenti abitudinari e in modo automatico prova sensazioni ed emozioni piacevoli, dolorose o neutre. Elabora pensieri positivi o negativi nei confronti di se stesso, degli altri o del mondo.  Una persone che vuole apprendere dall’esperienza prova anch’essa sensazioni ed emozioni piacevoli, dolorose o neutre. Elabora anch’essa pensieri positivi o negativi nei confronti di se stesso, degli altri o del mondo.

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Allora, quale differenza c’è tra la persona che vive in modo automatico e la persona consapevole?

Quando una persona che vive in modo automatico prova una sensazione o un’emozione dolorosa per via di un accadimento, si lamenta, cerca il colpevole dentro o fuori di sè, fa di tutto per allontanarsi da quella sensazione spiacevole dando mille spiegazioni circa le proprie incapacità o quelle degli altri, oppure se la prende con la sfortuna o con chi non ha fatto quelle che avrebbe dovuto e così via.  Questo aumenta il dolore, la rabbia, sviluppa molta angoscia. Infatti questa persona prova due dolori, quello fisico che deriva dall’accadimento e quello mentale che deriva dalla sua interpretazione mentale.
È come se si tirasse una freccia ad un uomo, e dopo, ancora un’altra, così proverebbe il dolore di due frecce[1]. Allo stesso modo, quando si prova una sensazione dolorosa, la persona che vive atteggiamenti automatici si lamenta, è triste, si percuote il petto e si angoscia.
Prova due dolori, quello fisico e quello mentale.

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Nel dolore c’è una componente mentale sulla quale abbiamo la possibilità di agire direttamente.
La prima freccia rappresenta il dolore che inevitabilmente sperimentiamo a causa di ciò che accade e che non possiamo modificare in quanto fenomeno accaduto.
Gli accadimenti creano reazioni nel corpo, sperimentiamo sensazioni di malessere fisico e sentiamo emozioni come paura, rabbia, vergogna, colpa, ecc. .
La seconda freccia, invece, rappresenta la nostra reazione mentale alla prima, e cioè la reazione mentale alle sensazioni o emozioni dolorose che proviamo nel corpo.
È la nostra interpretazione della realtà.

Per imparare ad apprendere dall’esperienza e ampliare la nostra capacità di entrare in empatia con le infinite sfumature della realtà è importante cogliere la differenza tra le due frecce.

Anche la persona in viaggio verso la consapevolezza a causa di accadimenti prova una sensazione di dolore, si spaventa, si arrabbia, si angoscia. Prova un dolore fisico, ma non lo confonde con quello mentale prodotto da pensieri con cui si racconta la realtà. Alcuni pensieri con cui ci raccontiamo la realtà sono: “ce l’hanno sempre con me”, “non sono capace di fare nulla”, “sono manipolato”, “sono preso in giro”, “nessuno mi capisce” e tanti altri, ogni lettore può aggiungere le frasi che sente proprie.

Come se si tirasse una sola freccia ad un uomo, e non due. Toccato da questa sensazione di dolore sotto varie forma, non si oppone. Percepisce sensazioni e emozioni, accoglie anche i pensieri (seconda freccia) che in automatico si sviluppano senza identificarsi con essi, sta con questo dolore. Gli eventi della vita che sono accaduti non si possono cambiare. La prima freccia è quella che è, non si può agire su di essa.
Ma possiamo agire sulla seconda freccia.

Anziché scagliare la seconda freccia in modo automatico possiamo scegliere di assumere un atteggiamento esplorativo verso se stessi facendosi alcune domande? Cosa è successo? Cosa ho sentito nel corpo? C’erano dei pensieri? Come cambia e si sviluppa quello che ho sentito se cambio i pensieri? Qual è il bisogno primario alla base di quei pensieri?

Più le domande che ci facciamo sono precise più è precisa la definizione dell’esperienza e quindi anche l’apprendimento. Possiamo scoprire che abbiamo paura di mostrarci nei sentimenti più profondi, che siamo vulnerabili più di quanto avevamo fino ad ora considerato, che forse agiamo forme di egoismo inconsapevole.

Non basta fare un’esperienza per imparare: è necessario avere, verso quell’esperienza, un atteggiamento riflessivo ed esplorativo.
Se non riflettiamo sulle nostre esperienze come testimoni presenti ma non giudicanti, se le lasciamo scivolare via leggère  impariamo poco o nulla.

Le domande che ci poniamo, inoltre, riportano a galla la struttura conversazionale della nostra mente, il chiacchiericcio della nostra mente. Il chiacchiericcio della mente con cui ci raccontiamo la nostra versione della realtà lo abbiamo imparato dentro una relazione e lo strumento della relazione è la conversazione, implicita ed esplicita.

La seconda freccia scatta per la difficoltà che abbiamo ad accettare che le cose vadano diversamente da come ci aspettavamo. Nasce dal desiderio di vivere accadimenti diversi, ma questo non si può cambiare. Il problema è che abbiamo nei confronti di quella aspettativa un attaccamento straordinario.

Avremmo tanto voluto ricevere dalla persona cara quel “grazie” dopo esserci tanto prodigati per lei e invece otteniamo una “critica” sul nostro modo di agire.
Siamo attaccati a quel grazie in modo fortissimo perché da quel grazie dipende un pezzo della nostra identità.

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La prima freccia è il dolore, fa male ma se ci facciamo caso possiamo sopportarlo, la seconda freccia è quella che ci fa molto più male ed è il nostro racconto della realtà (“è un ingrato”, “mi svaluta”, “non ho fatto abbastanza”, ecc.).
Riflettere sulla seconda freccia significa capire qual è il bisogno profondo che si nasconde nella nostra anima in quella precisa situazione e che ci rende così attaccati al “grazie”.  Questa disponibilità esplorativa ci permette di capire quanto siamo dipendenti psicologicamente da quel grazie, forse un antico vuoto interiore che ci portiamo da sempre.
La consapevolezza sviluppata su di noi ci libera dall’attaccamento morboso alla nostra aspettativa e possiamo vivere la relazione con l’altro in modo più leggero, possiamo imparare a chiedere quel grazie atteso, possiamo sviluppare compassione verso l’altro che con le sue limitazioni ci informa di una sua fragilità.
Volendo possiamo chiudere quella relazione ormai poco nutriente.

Per apprendere dall’esperienza e imparare qualcosa dalla seconda freccia che  scagliamo contro noi stessi e il mondo  abbiamo bisogno di:

  1. accettare e lasciar andare gli eventi per quelli che sono con fiducia

Quando coltiviamo l’intenzione di lasciar andare le cose per come sono, significa che riconosciamo che siamo molto più grandi e molto più “aperti” della voce che continua a dirci “Non può essere così” oppure “deve andare così”. Jon Kabat Zinn.

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Per praticare il lasciar andare è fondamentale avere fiducia. Fiducia nel dopo. Così la capacità di lasciar andare altro non è che una pratica di fiducia: fiducia che ciò che è accaduto doveva accadere e che ciò che arriverà, nuovo, sarà proprio ciò di cui avevamo bisogno per imparare e crescere.Senza questa fiducia finiamo fagocitati dalla nostra fame, dalla nostra paura, dalla nostra ansia. Questi tre compagni possono essere nostri compagni di viaggio ma se prestiamo loro attenzione essi ci aiuteranno a diventare più gentili e compassionevoli con noi stessi e con gli altri. Stati d’animo che sviluppano grandi dosi di energia.

  1. Portare fuori il chiacchiericcio della mente con chi ci vuole bene.

Ci sono momenti della vita in cui abbiamo bisogno di un supporto psicoterapeutico perché gli eventi sono grandi, impegnativi eccessivamente dolorosi. Ma la capacità di apprendere non può rinchiudersi dentro le mura di uno studio professionale. Ho appreso molto dalle mie esperienze passeggiando, seduta al tavolino di un bar  in compagnia di una cara amica.

  1. Diventare esploratori della vita con benevolenza e in modo non giudicante

Restare aperti al confronto con chi ci rimanda idee anche lontane di come siamo fatti noi, prestare attenzione e prendersi cura dei propri stati emotivi e di quello dell’altro preoccupandosi di rintracciare il bisogno di fondo.Quando discutiamo sull’esperienza vissuta esigere da e per se stessi e dagli altri un approccio benevolente, tollerante e non giudicante.

 

[1] Per il Buddha  “chi viene a contatto con una sensazione spiacevole e – come reazione – si preoccupa, si agita, piange, grida, si batte sul petto, perde il senso della realtà. Quindi egli fa esperienza di due dolori: quello fisico e quello mentale.” Il discorso delle due frecce: La prima freccia rappresenta il dolore che inevitabilmente sperimentiamo. Ciò che avviene nel corpo. La seconda freccia, invece, rappresenta la nostra reazione alla prima, e cioè alle sensazioni dolorose che proviamo nel corpo.

 

 

Psicoterapia del Benessere

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