Facili all’ira sopra la terra siamo noi di stirpe umana.
(Omero)

La rabbia è un’emozione difficile perchè la caratteristica di episodi di rabbia consiste nella reazione eccessiva e a volte inappropriata rispetto all’ episodio che l’ha scatenata. La rabbia viene agita in modo impulsivo, cioè senza “consapevolezza” di quello che stiamo per fare o per dire e non di rado agiamo comportamenti verbali con cui offendiamo o umiliamo l’altro.
Frasi “se avessi saputo che cosa significava vivere con te, non mi sarei sposata”, “maledetto il giorno in cui ti ho incontrato”.
Si possono agire anche comportamenti aggressivi contro l’altra persona o tirando pugni sul muro, o sbattendo oggetti per terra.
In altri casi ancora si mettono in atto dei comportamenti vendicativi quando la rabbia si trasforma in risentimento o rancore.

Questi comportamenti generano conseguenze molto dannose per chi è stato ferito emotivamente e spesso è difficile recuperare la relazione. Se poi questi comportamenti sono rivolti contro un figlio o una figli i danni psicologici sulla rappresentazione del Sé dei ragazzi è molto grave.

Ma la causa di questi danni non è la rabbia, ma il comportamento agito e il comportamento agito non è causato dalla rabbia, ma dalla nostra incapacità di sentire la rabbia intanto nel corpo, senza necessariamente agirla attraverso comportamenti automatici come gridare, offendere, picchiare.
A cosa serve ascoltare la rabbia?
Quando qualcuno disattende una nostra aspettativa, manca nel cogliere un nostro bisogno, nel rispettare una regola che per noi è importante e fondamentale per il nostro benessere proviamo “dolore” emotivo, tanto più forte quanto più era importante per noi quella risposta.

Per esempio mi aspetto che l’amato o l’amata si ricordi del mio compleanno, se questo non accade il dolore è atroce. La rabbia è quel programma affettivo che mi porta a “difendere” la mia aspettativa.
Ascoltare la rabbia mi dice che per me ricevere gli auguri per il mio compleanno dall’amato era fondamentale per il mio benessere, sentirmi profondamente amato o amata attraverso quel gesto è fondamentale perché avrei trovato corrispondenza rispetto a chi penso di essere per l’altra persona.
Il tradimento di questa aspettativa provoca tanto dolore quanto se ne prova quando si frantuma, si rompe un osso.

Ed è qui che cominciano i guai. Se quella situazione che ci ha feriti la interpretiamo come mancanza di rispetto, disinteresse nei nostri confronti da parte della persona amata, ridicolizzazione delle nostre necessità, svalutazione della nostra persona e “pensiamo” di ricomporre il nostro equilibrio e lenire il nostro dolore emotivo “imponendo” il cambiamento dell’altro attraverso minacce, offese e umiliazioni in realtà stiamo sbagliando bersaglio e peggioriamo inevitabilmente la situazione emotiva. Si ci deresponsabilizziamo circa il prenderci cura del nostro dolore.
Cerchiamo un anestetico, vorremmo che quel dolore emotivo non fosse mai accaduto oppure vogliamo guarirci distruggendo l’altro. Certo, anche in funzione della nostra storia personale, questo dolore può avere frequenze atroci, è come una fiamma ossidrica sulla pelle, come una ustione di terzo grado. Lo so. Ma provocare nell’altro lo stesso dolore che lui o lei hanno provocato a noi non cura il nostro dolore, non lenisce le nostre ferite, ma lo peggiora.
Si entra in un loop di minacce, ritorsioni e i pensieri negativi su di noi aumentano. Siamo quelli svalutati, quelli non amati, quelli a cui si può mancare di rispetto questi pensieri sono veleno emotivo e ci allontanano dalla possibilità di ripristinare la rappresentazione del nostro sé.

La rabbia quindi mi dice che posso darmi il permesso di difendere i miei bisogni, mi dice che posso trovare un modo per ripristinare un mio equilibrio emotivo, prendendomi cura delle mie ferite definendo all’altro la mia sofferenza, dichiarando con le sfumature della fermezza quello che mi fa male, quello che non mi sta bene, esprimendo con la voce della fortezza quello che voglio e che non voglio.

Sentire la rabbia, il suo fuoco, sentire l’infiammazione che essa produce costa, ma è più costoso recuperare il danno che abbiamo generato nell’altro. Non è sufficiente ammettere il danno che abbiamo fatto ferendo e offendendo l’altro.
Lui o lei  avrà bisogno del suo tempo per elaborare le offese. Le scuse non cancellano subito le parole offensive dette nel momento di rabbia: le cicatrici rimangono. Inoltre quando la rabbia viene agita in questo modo distruttivo facciamo del male all’altro, ma avveleniamo noi stessi molto più di quanto pensiamo.
Rinforziamo i nostri pensieri negativi e perdiamo ancora di più il nostro equilibrio emotivo!

Allora quando sentiamo la rabbia cosa possiamo fare per noi?

Intanto sentirla nel corpo. Attraversarla sentendo quali distretti del corpo sono più contratti, tesi e chiederci cosa mi ha ferito, cosa volevo che non ho ottenuto e mi ha frammentata?
Sotto la rabbia c’è una parte di noi dolorante, cercatela nel corpo accanto a zone del corpo contratte come il viso, i muscoli, il cuore che batte all’impazzata, ci sono zone dove abita il dolore per esempio nodo alla gola, bocca dello stomaco chiusa, aritmia cardiaca.

Questo è sentire la rabbia e allo stesso tempo il dolore della mancanza, della solitudine, della umiliazione, dell’offesa percepita. Sotto la rabbia c’è sempre un grande dolore che in parte è dovuto al presente, in parte è un dolore già scritto a causa di esperienze precedenti nella mia struttura neurale e che si attiva ogni qual volta ci troviamo davanti a determinate situazioni.
Questo dolore deve essere ascoltato e accolto accanto alla capacità di sentire la rabbia per l’umiliazione o l’offesa percepita dovuta al mancato soddisfacimento di ciò che mi aspettavo.

Poi come mi prendo cura del mio dolore?

Mi do il permesso di dire all’altro con parole che sono colorate dalle sfumature della rabbia intrisa di dolore quello che non mi piace, quello che mi ha ferito, quello che avrei voluto e non ho ottenuto, quello che voglio da ora in poi, quello che nello spazio relazionale con l’altro voglio ricevere. Questa capacità di narrare le nostre ferite, ciò che ci ha deluso e cosa non vogliamo più compreso, anche in alcuni casi non volere più quella relazione, ci permette di curare noi stessi e in qualche modo di informare (nutrire) la relazione con l’altro. In questo modo la relazione ha una possibilità di crescere anche nella eventuale separazione.
Lasciamo all’altro la responsabilità di sentire le sue emozioni, di scegliere cosa fare verso di noi, lasciamo all’altro la responsabilità di nutrire a sua volta la relazione. E se non dovesse capire, non dovesse cogliere, non dovesse riuscire ad elaborare nulla rispetto a ciò che diciamo è il rischio che possiamo correre.

Cosa ci permette di vivere la rabbia in questo modo utile al nostro benessere?

Quando la rabbia prende il sopravvento è perché non riusciamo a contattare il dolore che l’altra persona ci ha inferto.
E’ troppo evidentemente per noi.
Ci sono zone d’ombra dentro di noi, fragilità, vulnerabilità scritte nel nostro corpo (sensazioni fisiche) che facciamo fatica a contattare. E allora conviene scoprire le carte e lavorare sulle nostre fragilità perché esse contengono la perla della nostra forza!