Si devono pur sopportare dei bruchi se si vogliono vedere le farfalle … dicono siano così belle (Antoine de Saint Exupery)
L’atto di amore più generoso che possiamo fare verso noi stessi è accettarci con tutte le nostre imperfezioni, le nostre fragilità e le nostre bruttezze. Non per imputridire nella giustificazione, ma perché lo sguardo amorevole rivolto verso noi stessi trasforma ciò che oggi chiamiamo imperfezioni o fragilità in energia, in forza. Le fiabe narrano di questa possibilità quando il ranocchio baciato con amore dalla principessa si trasforma in principe, oppure l’amore della figlia del contadino verso la bestia rompe un incantesimo che teneva prigioniero il ragazzo beffardo di un tempo.
Ma l’atto di amore ancora più generoso che possiamo fare verso noi stessi è lasciarci amare con tutte le nostre imperfezioni e le nostre bruttezze proprio da chi ci ama per come siamo. Amante o genitore che sia lasciarsi amare significa imparare a riconoscere come alcuni pensieri automatici e figli di un passato ormai passato non ci permettono di sentirci amati.
Essi catturano la nostra mente e riattivano antiche paure catastrofiche, frasi dure come “certo che mi ama, lei è mia madre” oppure “forse mi ama perché non ha trovato altro”, o ancora “probabilmente si diverte con me, mi prende in giro” sono frasi che chiudono al calore dell’affetto che altri provano e inviano verso di noi, impediscono il godimento del sentirci amati.
Anche se lo scopo che questi pensieri hanno avuto nel passato era quello di proteggerci ora sono diventati disfunzionali. I pensieri difensivi ci proteggono dal dolore che il sentirsi abbandonati ha prodotto nella nostra infanzia, proteggerci dal dolore del sentirsi rifiutati proprio nel momento in cui eravamo bambini protesi nella richiesta di affetto, proteggerci dal dolore di essere esclusi dal clan familiare quando abbiamo pensato di dire la nostra opinione diversa. Un dolore che evidentemente non è stato poi consolato, rassicurato, accolto dal suono della voce di chi in quel momento è vicario del nostro Sè.

Sono dolori antichi che con il nostro presente non hanno a che fare ma la paura è presente, essa è qui ed ora della nostra vita di adulti, abita nello sfondo della nostra mente, a guardia dei nostri dolori, ci allerta ogni volta che una remota ipotesi di dolore si staglia all’orizzonte.
E’ vero la vita “è un cantiere aperto”, è possibile che la persona amata ci lasci per un’altra persona, è possibile che la persona amata muoia. Certo è che anche ogni relazione anche quelle finite lasciano un dono dentro di noi, uno spartito musicale stampato nelle strutture del nostro psichismo con cui possiamo suonare nuove melodie se solo ci lasciamo amare per come siamo. Un dono che rende la nostra vita ricca di senso e di completezza per cui vale la pena pagare un prezzo, quello di avere paura di soffrire la perdita.
I pensieri torturatori che intendono proteggerci (in modo ormai disfunzionale) dalla possibilità di soffrire si presentano con toni duri e ossessivi ed essi appesantiscono il plesso cardiaco (cuore), offuscano la mente che costruisce solo ambienti pieni di vuoto e solitudine. Se perdiamo l’opportunità di ammorbidire il tono di questi pensieri alimentando la compassione verso ciò che siamo stati e ciò che siamo rischiamo di identificarci completamente con le emozioni e i pensieri che ci attraversano la mente. In questo modo non siamo più in grado di cogliere le sfumature della nostra realtà.

Noi però non siamo i nostri pensieri e le nostre emozioni. Essere consapevoli di se stessi è proprio questo: darci la possibilità a fatica di scegliere di sentire il calore e la serenità di quando ci accorgiamo di essere profondamente amabili, degni di amore così per come siamo, non per quello che facciamo o non facciamo, non per quello che diciamo o non diciamo.