Mindfulness… in viaggio verso il benessere!

La vita quotidiana offre infinite possibilità per fermarsi, concentrarsi e ricordarsi di essere pienamente svegli e presenti a ciò che sta accadendo proprio in questo momenti. Per un attimo, concediti di lasciare andare le cose e di fermarti. Concediti di accogliere quello che c’è dentro di te. E quello che c’è va bene così”.

psicologia-dei-colori-03Le pratiche meditative possono contribuire a trasformare la presenza di emozioni distruttive in emozioni più utili al miglioramento della qualità della vita. Le pratiche di meditazione e consapevolezza possono contribuire a gestire il flusso dei pensieri e degli stadi d’animo. Certamente esse contribuiscono a vivere la realtà guardandola da prospettive diverse. Meditare e riflettere sull’esperienza vissuta coinvolge contemporaneamente la mente, il corpo. Meditare sull’esperienza vissuta aiuta a cogliere quanti giudizi verso noi stessi occupano lo sfondo della nostra mente. Essi si nutrono di emozioni latenti come la paura di non essere adeguati o amati, la vergogna di essere diversi da come si dovrebbe, la colpa di desiderare cose per se stessi.

Mindfulness-725x545“Meditare” può allenare il cervello? Daniel Goleman, autore del libro Intelligenza emotiva, ha condiviso le ricerche di Davidson che dimostrano come il cervello sia estremamente plastico, a patto che si vivano esperienze sistematiche e ripetute.

Con le sue ricerche Davidson (Davidson, 2013)  ha scoperto come  il meditare produce una maggiore attivazione della corteccia prefrontale sinistra, quella associata alle emozioni positive. Inoltre si rafforzano le risposte del sistema immunitario e  questo collegamento fornisce indicazione sulle relazioni tra emozioni positive e sistema immunitario.

Praticare la meditazione di consapevolezza” (mindfulness) allena il cervello a nuove forme di risposta alle esperienze e ai pensieri. Riduce l’attività della corteccia prefrontale destra, collegata alle emozioni negative, e incrementa l’attività di quella sinistra, associata alla resilienza e al benessere. Questo nuovo percorso trasporta una quantità sempre maggiore di pensieri e sensazioni innescando un circolo virtuoso”(Davidson, 2013).prefrontalcortexamygdala

Dopo avere condotto molti esperimenti, osservato il cervello delle persone attraverso la risonanza magnetica, Davidson ha identificato alcuni stili emozionali governati da circuiti cerebrali specifici e osservabili utilizzando metodi di laboratorio che rispettano i protocolli scientifici.

Ogni persona ha un suo particolare stile emozionale con cui affronta e gestisce le esperienze della vita.

Lo stile emozionale è composto da sei dimensioni.

Ravversità occasioniesilienza – misura la velocità con la quale ci riprendiamo dagli stress emotivi. Rappresenta la capacità di recuperare dopo un fallimento o dopo una frustrazione.

Prospettiva – misura la capacità di mantenere nel tempo le emozioni positive. Alla base di questo stile emozionale ci sono speranza, fiducia, ottimismo.

Intuito sociale – misura la capacità di cogliere i segnali sociali inviati dalle persone attorno a noi. Alcuni sono più predisposti a percepire i segnali non verbali delle altre persone, di cogliere le loro emozioni.

Autoconsapevolezza – misura la capacità di percepire con chiarezza le sensazioni fisiche che riflettono le nostre emozioni.

Sensibilità al contesto – misura la capacità di modulare le reazioni emotive in base al contesto in cui ci troviamo.

Attenzione – misura l’intensità e la chiarezza con cui siamo capaci di restare concentrati. La capacità di focus è fondamentale per riuscire ad estraniarsi dagli stimoli esterni e raggiungere il proprio obiettivo.

abitudini-depotenziantiLa mente e il pilota automatico

Vi è mai capitato di sbagliare strada durante un tragitto in macchina perché eravate sovra pensiero? Questa è una manifestazione macroscopica di come funziona il nostro “pilota automatico”. Il nostro cervello è capace di creare sequenze operative automatiche, esse funzionano anche senza il supporto della nostra attenzione consapevole. E’ sufficiente fare un’attività, piccola o grande, un paio di volte e grazie alla memoria la nostra rete neurale crea un modello operativo (sentiero di connessioni tra i neuroni) in grado di funzionare da solo (si attiva prima di altre connessioni non appena si presenta uno stimolo operativo), senza il supporto della coscienza. Un altro esempio? E’ molto frequente che i partecipanti di un corso di formazione il secondo giorno scelgano di sedersi allo stesso posto del giorno precedente. Il “pilota automatico” poi genera abitudini. Quindi dopo aver svolto un’attività un paio di volte la mente collega una sequenza di  azioni al punto che si riesce a portare a termine un compito in modo fluente e “veloce”. La mente non crea collegamenti solo fra azioni fisiche, inserisce nella sequenza operativa anche i pensieri che caratterizzano lo svolgimento delle attività. Pensieri come “devo fare in fretta”, “se non raggiungo l’obiettivo è un casino”, “devo essere perfetto così evito critiche”, “se dico di si continuerà a riferirsi a me”, “posso farcela”, “ho le giuste competenze”. Oltre ai pensieri, la sequenza di azioni operative contiene anche sentimenti e stati d’animo, come angoscia, preoccupazione, ottimismo, speranza, ecc. Il punto è queste sequenze non sono altro che “abitudini”.

Nel corso della vita le abitudini si trasformano in stili di relazione e in caratteri, cioè modi strutturati e stereotipati di interpretare il mondo, di vivere il rapporto con gli altri e di affrontare le situazioni. Si tratta di abitudini che prendono completamente il controllo della mente cosciente e agiscono come un pilota automatico. Le abitudini quindi attivano comportamenti, pensieri e stati d’animo che però non sono adatti al momento presente, essi non si adeguano ai singoli momenti del presente, ma sono connessi con il passato o con il futuro, non con il presente.

In qualche modo hanno vita propria. Le abitudini semplificano la realtà operativa, ma riducono anche la capacità di prestare attenzione ai dettagli, di vivere la connessione con le emozioni e i pensieri del momento presente. La mente comincia a vagare tra il passato e il futuro, sempre più distante dall’esperienza concreta istante per istante. Questo accade quando ci svegliamo di notte in  preda ad una lista di cose da fare, quando siamo a casa la sera e rimuginiamo sulle cose accadute durante la giornata o siamo preoccupati per quello che accadrà domani, quando nel week end scarichiamo l’ansia attraverso sintomi fisici o scatti d’ira e nervosismi vari.

Il pilota automatico è molto utile all’essere umano. Permette di risparmiare risorse energetiche cerebrali, velocizzare azioni. Immaginate di guidare ogni giorno la vostra automobile prestando attenzione ad ogni dettaglio come se fosse il vostro primo giorno di guida, sarebbe un dispendio di energie improponibile per l’essere umano. Quindi grazie al pilota automatico la quantità di energia che dedichiamo alla guida della macchina è minimo. Con il passare del tempo il rischio è che la maggior parte della nostra vita possa essere governata dal pilota automatico.

Giornate intense, con tante cose da fare e tanti stimoli, ma con un copione simile: mattina sveglia, colazione, bambini a scuola, lavoro, riunione, caffè, pranzo, telefonata bambini, riunione, chiusura lavoro, palestra, rientro, casa, faccende, cena, tv, pigiama, denti, sonno. Un altro problema sorge quando si presenta un sovraccarico di attività che non sono supportate da modelli operativi abitudinari, nuove situazioni da gestire, stimoli diversi dal solito. Ad esempio cambiamenti lavorativi, nuovi progetti da gestire, nuove responsabilità o attività da fare. I cambiamenti possono riguardare anche la vita privata come la nascita di un figlio, la convivenza, la perdita di una persona cara, l’avanzare dell’età.  In questi casi si scopre che la mente automatica non lascia più spazi per gestire ciò che è fuori dalle sequenze azioni, pensieri sentimenti. La rete neurale ha perso la sua elasticità. Cominciano a manifestarsi condizioni psicofisiche di stress lavoro correlato, stanchezza fisica e mentale, sensazione di impotenza, sentimenti di grigiore, abbassamento della performance lavorativa. Presenza importante di stati d’animo caratterizzati da tristezza, apatia, sentimenti di alienazione ed estraneità.  La percezione di perdere il controllo della propria vita si fa più decisa, si affievolisce la capacità di cogliere il bello delle piccole cose. Ad un certo punto la quantità di pensieri negativi e la frequenza di stati d’animo depotenzianti supera la quantità di pensieri positivi e la frequenza di stati d’animo potenzianti.

Le abitudini innescano pensieri, i quali innescano pensieri che finiscono per innescare pensieri ancora più abituali. Frammenti di pensieri e sentimenti negativi possono configurarsi come schemi che amplificano le emozioni. Nel momento in cui ti accorgi di quelle sensazioni indesiderate quelle sono diventate troppo forti per riuscire a contenerle. Un commento buttato lì da un amico può farti sentire infelice o insicuro. Un automobilista che ti taglia la strada può spingerti giù per la china dell’irritabilità e della rabbia, lasciandoti esausto, frenetico e cinicamente disconnesso dal mondo” (Williams, Penman, 2017)

Lo scopo delle prime sessioni di mindfulness è quello di riconoscere che spesso siamo prigionieri della modalità del fare, e non coltiviamo la modalità dell’essere. Le giornate scorrono piene di impegni, finiamo una cosa e ne cominciamo un’altra e la nostra mente resta concentrata sulle cose che si stanno facendo. Diventa banalmente difficile far comprendere ai partecipanti di un percorso formativo sulla comunicazione assertiva che occorre prestare attenzione non solo al contenuto della conversazione, ma anche alla qualità della relazione, ai segnali non verbali che accompagnano le parole. Il chiacchiericcio della mente toglie colore, sapore e odore al momento presente, perché occupa la nostra consapevolezza e non permette alle percezioni sensoriali del momento di essere processate al livello di consapevolezza.

Attraverso gli esercizi di mindfulness non abbiamo lasciato o abolito al modalità del fare, abbiamo solo aumentato gli strumenti a disposizione da utilizzare per affrontare con maggiore positività ed efficacia le situazioni in cui siamo travolti dalle cose da fare, dalle preoccupazioni, dalle responsabilità. Abbiamo solo aggiunto la modalità dell’essere come possibilità di scelta quando serve. La modalità del fare non è un errore o un nemico di cui liberarsi. La modalità del fare è disfunzionale solo se prende il sopravvento e non permette ad una madre di cogliere nello sguardo del figlio il bisogno di essere abbracciato, e lascia la madre bloccata nel suo “dargli da mangiare”. La vera flessibiltà è quella di entrare e uscire dalle modalità del fare e dell’essere in funzione dei propri bisogni.

Gli esercizi di mindfulness  allentano il chiacchiericcio della mente perché aiutano a portare l’attenzione su una sola cosa alla volta, il respiro, il corpo, il sapore, i colori e le forme dell’ambiente, ma allenano anche un atteggiamento gentile verso se stessi. Liberano dalla morsa del giudizio con cui etichettiamo ogni azione nostra e altrui attivando emozioni distruttive.

 

 

Psicoterapia del Benessere

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