Quando una persona vive il senso di colpa, significa che dentro di lei abita un pensiero, una voce, un personaggio, che in modo, a volte forte e chiaro altisonante, altre volte con un sussurro dice: è colpa tua!
Il senso di colpa nulla ha a che vedere con la responsabilità. Assumersi la responsabilità di una scelta, di una decisione, di un’azione significa scegliere di conseguire il vantaggio che quella scelta comporta, ma anche il prezzo da pagare per che quella stessa scelta.
Per esempio se scegliamo di dire di no ad una richiesta che non va bene alle nostre esigenze allora otteniamo il vantaggio di soddisfare un nostro bisogno e allo stesso tempo paghiamo il prezzo di produrre nell’altro un certo grado di dispiacere.
Essere adulti quindi significa “tollerare” un certo grado di dispiacere quando l’altro non ci corrisponde, tanto quanto tollerare la responsabilità di aver procurato all’altro un certo grado di frustrazione.
Più antica è questa voce, cioè più radicata nel nostro passato sino ad essere parte del nostro preverbale, più si presenta in tutte quelle situazioni in cui riceviamo una critica, una persona si allontana da noi, tutte le volte in cui le non riceviamo ciò di cui abbiamo bisogno.
È un vero e proprio tribunale interiore in cui c’è un giudice che stabilisce che sei sbagliato tu, che è colpa tua!
In questo scenario interiore abita anche l’altra parte di noi quella colpevole che tenta disperatamente di spiegare, giustificare, che ha il diritto di esistere così come è, che ha il diritto di prendersi le attenzioni di cui ha bisogno, di essere compresa, rassicurata. Questa parte spesso è “piccola” e si difende come può, non ha un linguaggio articolato come quello del giudice che invece argomenta con perizia e scende sin nei dettagli della sua arringa esaltando ogni elemento in grado di dimostrare che è colpa tua. In alcuni casi questa parte “piccola” ha il pianto facile, in altri momenti si rinchiude nel risentimento, in altri momenti ancora sbotta, magari nei momenti inopportuni, con le persone sbagliate o dicendo cose di cui dopo si pente.
Tutto ciò peggiora inesorabilmente la sua condizione di colpevolezza.
In effetti è difficile passare una vita con una voce che ti ricorda che tutto ciò che ti accade è in qualche modo colpa tua!
Questo giudice interiore severo e crudele ti sussurra che quando tu cerchi di dare spazio nella tua vita al soddisfacimento dei tuoi bisogni sei egoista e fai del male al mondo intero.
Ecco che se dici di no sei colpevole perché il mondo non ti vede più come simpatico e meraviglioso e indispensabile
Se dici quello che senti e chiedi di fare qualcosa che non corrisponde alle aspettative della persona significativa per te sei colpevole perché l’altro non è più propenso a proteggerti e a rassicurarti
Se lotti per fare le tue scelte sei colpevole e ingrato perché il mondo non è più propenso a riconoscerti.
Insomma quando siamo colpevoli accade che chiediamo al mondo estero il permesso di essere ciò che siamo, per evitare che il nostro giudice interiore infierisca in modo crudele contro di noi!
Il primo grande passo è rendersi conto del nostro teatro interiore e del grado di conflittualità che abita la relazione interiore tra il giudice e l’imputato.