Esiste un’antica arte giapponese, il Kintsugi, che prescrive l’uso di un metallo prezioso, oro o argento liquido o lacca con polvere d’oro per riunire i pezzi di un oggetto di ceramica rotto, esaltando le nuove riparazioni create. Ogni pezzo riparato diviene unico e irripetibile. La casualità con cui la ceramica si frantuma, le irregolarità formano ramificate decorazioni irripetibili che vengono esaltate dal metallo. Kintsugi viene da “kin”, oro e “tsugi” riunire, riparare, ricongiungere. Questa arte fa eco alla possibilità di ricostruirci emotivamente ogni volta che ci sentiamo a pezzi, rotti e scoprirci più preziosi di prima, apparentemente “riparati” ma fondamentalmente diventiamo persone “uniche e preziose”. Ad una condizione però che nella pasta di ceramica necessaria per ricomporre i pezzi ci mettiamo del materiale prezioso come oro e argento.
Quando qualcosa nel mondo ci ferisce ci sentiamo “rotti”, “frammentati”. Alcuni stimoli ambientali come critiche mal poste, essere stati rifiutati nel momento in cui abbiamo chiesto attenzione, aver ricevuto giudizi negativi su di noi, essere stati abbandonati in un preciso momento di bisogno sono esperienze che arrivano come una “botta”, una “mazzata” per la nostra interiorità, sono eventi che ci fanno sentire “a pezzi”. Così come il dolore fisico segnala che nel corpo c’è un trauma, ossa rotte, organi infettati, ecc., il dolore emotivo segnale che il nostro essere “interi”, stabili, “ben poggiati per terra e capaci di “orientarci” si è rotto, il nostro Sé interiore si frammenta”
Ecco che si presentano costellazioni emotive difficili che ruotano intono alla colpa, vergogna, tristezza, la rabbia sorda, rancore. Queste emozioni sono difficili, ma sono utili perché ci segnalano la frantumazione del nostro Sé interiore, ci dicono che qualcosa dentro di noi si è frammentato emotivamente. Volgere lo sguardo dentro noi stessi significa ascoltare, accogliere queste emozioni e non scappare dagli eventi che le hanno causate. Stare con quello che ci ha ferito, osservare senza giudicare ciò che accade fuori e dentro di noi è la chiave per guardare il vaso rotto e scegliere di ripararlo in modo da renderlo più prezioso di prima
Quali sono dunque queste emozioni preziose, che guariscono il nostro Sé frammentato e a pezzi? Jung ci insegna la via dei simboli per illustrare il funzionamento archetipale del nostro Sé interiore. “Oro e incenso e mirra sono” i doni che i re magi portano a Gesù bambino. i doni dei Re Magi custodiscono in sé una simbologia molto profonda che può ispirarci nuove riflessioni con cui ampliare il nostro grado di consapevolezza e intraprendere il viaggio della Guarigione del Sé.
Oro, bene raro e prezioso. L’oro è simbolo del riconoscimento della regalità, associato alla luce, al sole, alla capacità di diffondere forza ed energia. Tutte le grandi civiltà hanno usato l’oro per glorificare i propri sovrani e i propri dei.Oro inteso come la capacità di coltivare la mente compassionevole. La mente compassionevole è segno della regalità intesa come capacità di coltivare la mente consapevole in grado di generare nel corpo e nel mondo che ci circonda forza ed energia. La mente compassionevole sviluppa una particolare sensibilità alla sofferenza di se stessi e degli altri, unita ad un forte desiderio e impegno ad alleviarla; non si deve confondere col “provare pena” per qualcuno, ma deve esser intesa piuttosto come una motivazione (inscritta nelle parte più evoluta del nostro cervello) a prendersi cura di e che possa portare beneficio e benessere. Le neuroscienze ormai dimostrano come coltivare la mente consapevole migliora le condizioni di benessere psicofisico.
Incenso è una resina ricavata dalla corteccia delle piante della famiglia delle Burseraceae, chiamato anche “gomma di olibano”, l’incenso è stato utilizzato fin dalle epoche remote nell’ambito di cerimonie religiose e rituali, il fumo che saliva dall’incenso bruciato era considerato un’offerta gradita agli dei. Incenso come capacità di elevare un sentimento di gratitudine per ciò che la vita ci offre ogni giorno come dono. Elevare il nostro grazie, senso di riconoscenza verso le persone e verso le situazioni che ci hanno permesso di evitare una sofferenza o un disagio guarisce dalle ferite precedenti. Le neuroscienze dimostrano come il senso di gratitudine si sviluppa in precise zone del nostro cervello e contribuisce a generare un senso di completezza e benessere.
La mirra è una resina. Il termine “mirra” deriva dalla parola semitica murr che vuol dire “amaro”. Veniva usata soprattutto allo stato liquido, o in polvere, mescolata con olio e balsami per disinfettare e lenire le ferite. Nell’antichità la mirra era usata tra le altre cose per il culto dei morti, usata come olio di unzione per i sacerdoti e per profumare le vesti cerimoniali come portatrice di saggezza e amore. Mirra come capacità di intraprendere il viaggio del perdono di sé e degli altri. La forza del perdono è un balsamo per lenire le ferite del nostro Sé frammentato. Il perdono apre alla gioia e alla serenità perché libera l’anima dai pensieri di morte, mentre rabbia, rancore e la vendetta sobillano la mente e lacerano il cuore nel tentativo di ripristinare un equilibrio interiore e ritrovare la pace, ma in realtà la allontanano. Il perdono diventa balsamo per le nostre ferite da frammentazione perché ammorbidisce il dialogo interiore rendendoci disponibili ad accettare la nostra interiorità.
Non ci sono emozioni negative, nel senso che producono danno. Tutte le emozioni sono funzionali per la nostra vita fisica e psicologica. Scegliere di riparare il vaso rotto rendendolo più prezioso di prima è scelta consapevole che richiede ampliamento della consapevolezza del nostro dialogo interiore, consapevolezza di come vive e agisce il nostro corpo attraverso le emozioni.